L’iniezione intravitreale consiste nell’iniezione di molecole farmacologicamente attive all’interno della cavità vitreale. Si tratta di una procedura parachirurgica ascrivibile alla farmacochirurgia e utilizzata per il trattamento di patologie retiniche quali la degenerazione maculare legata all’età di tipo essudativo, l’edema maculare diabetico, l’edema maculare di tipo cistoide e presto, si spera, anche la degenerazione maculare legata all’età di tipo atrofico.

I pazienti presentano spesso timori ingiustificati verso l’iniezione intravitreale, che è una procedura molto sicura se effettuata nel rispetto dei parametri di sicurezza previsti dal protocollo; inoltre i disagi che l’iniezione vitreale comporta sono davvero minimi rispetto ai benefici che questo tipo di trattamento è in grado di offrire.

L’iniezione intravitreale deve essere eseguita in un ambiente perfettamente sterile, poiché una delle complicanze più pericolose di questa procedura è legata alla possibilità di un’infezione intraoculare (endoftalmite), il cui rischio diventa praticamente nullo se i parametri di sterilità vengono rispettati in modo scrupoloso.

Il paziente che deve sottoporsi all’iniezione intravitreale viene sottoposto a un protocollo di disinfezione oculare a partire da qualche giorno prima dell’intervento e nella fase immediatamente precedente la procedura.

Per l’esecuzione dell’iniezione, il paziente deve sdraiarsi sul tavolo operatorio e, una volta in posizione supina e applicato il telino sterile, l’occhio da trattare viene disinfettato, sia esternamente, a livello delle palpebre, sia direttamente sulla superficie dell’occhio stesso. L’équipe chirurgica applica all’occhio da trattare un blefarostato, che serve per divaricare le palpebre e mantenerle bene aperte per facilitare l’esecuzione della procedura. La superficie oculare viene trattata con diversi colliri, sia con azione antisettica che con azione anestetica, in questo modo la fase preparatoria propedeutica alla procedura è terminata.

Il chirurgo utilizza un compasso operatorio per marcare il punto dove deve essere eseguita l’iniezione; questo punto, a livello della pars plana, si trova a una distanza che oscillerà tra i 3,5 e i 4 mm dal limbus corneale, a seconda che il paziente abbia ancora il suo cristallino naturale o abbia invece già subito un intervento di cataratta e presenti quindi una lente intraoculare artificiale.

Le molecole con attività farmacologica vengono iniettate nella cavità vitreale in quantità tale perché esse possano esplicare il loro effetto terapeutico, che viene aumentato anche dal fatto che le molecole vengono a trovarsi a diretto contatto con la superficie retinica sulla quale devono agire. La tecnica ha riscosso un grande successo terapeutico poiché l’occhio è dotato di una particolare caratteristica, quella di possedere una barriera emato-oftalmica che consente di mantenere le molecole farmacologicamente attive iniettate al suo interno per periodi piuttosto lunghi, di un mese o anche due, e ad elevata concentrazione. La stessa concentrazione, e quindi l’effetto terapeutico, non sarebbe ottenibile iniettando il farmaco per via sistemica mediante iniezione endovena, poiché bisognerebbe iniettare una quantità di farmaco di 1000 o persino 10000 volte superiore e ciò non avrebbe effetti tossici non compatibile con la sicurezza del paziente.

Dopo aver effettuato l’iniezione intravitreale si utilizza un asciughino e si immobilizza la congiuntiva per evitare che ci siano fuoriuscite o sanguinamenti dalla minuscola ferita chirurgica.

Alla fine del trattamento si misura la pressione intraoculare per assicurarsi che l’iniezione del farmaco all’interno dell’occhio non abbia determinato uno sbalzo pressorio, nel qual caso s’inietta un farmaco ipotonizzante. Una volta tolti il blefarostato e il telino sterile, il paziente può tornare a casa previo un piccolo riposo di qualche minuto.

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